
Paul Valéry, Il cimitero marino
Marino – o, più esattamente, dei marinai – è il cimitero ove sono sepolti i genitori di Paul Valéry e vi sarà sepolto egli stesso, nel 1945.
La poesia è del 1920: fu composta a Parigi, trentasei anni dopo la partenza da Sète. Si tratta quindi d’un viaggio immaginario a un luogo reale dell’adolescenza: vialetti che s’inoltrano fra pini e cipressi, oleandri e tombe, lo sguardo che si volge al circostante mare, solcato da vele bianche, e scintillante nella quiete del mezzogiorno: il mare dunque, la terra, e il destino dell’uomo.
Mentre l’occhio si perde in quello spazio fulgido e immobile, impassibile, senza storia, la mente ripercorre il suo viaggio nel tempo: il passato sta tutto in un sospiro! Il presente altro non è che attesa d’un futuro che non arriva mai. E il futuro? Un futuro, certo, ci sarà, lì sotto una lapide, insieme ai cari assenti: sospiri e attese confluiranno in una ‘magra immortalità, nera e dorata’… Non c’è scampo per il corpo! Né per l’anima!
Quand’ecco arriva una burrasca, a rompere l’incantesimo del sole e della luce: il mare s’agita, le onde si frangono sulle rocce: raffiche salmastre ridestano il poeta stordito dalla contemplazione dell’Essere, squadernandogli il libro che ha in mano: tentare di vivere, bisogna, non ragionare sulla vita! Spendere fino all’ultimo spicciolo, finché ne abbiamo in tasca, la nostra cifra di delirio.
Anima mia, non desiderarti vita
immortale, ma pòniti a opere che
ti sia dato compiere.
Pindaro, Pitiche, III
Il Cimitero marino
Questo tetto tranquillo, ove colombe
vanno, tra i pini palpita e le tombe;
meriggio il giusto compone di fiamma
il mare, il mare, sempre in sé rinato!
Dopo un pensiero sei ricompensato
guardando a lungo degli dei la calma.
Che lavorìo di lampi che consuma
tutti i diamanti di sottile schiuma,
e quale pace sembra ora accadere!
Se sull’abisso il sole si rafferma,
opere pure d’una causa eterna,
scintilla il Tempo e il Sogno è il tuo sapere
Saldo tesoro, ampio tempio a Minerva,
massa di calma, evidente riserva,
acqua accigliata, occhio che trattiene
tanto sonno su un velo che si è acceso,
o silenzio!… Nell’ anima una casa,
ma colmo d’oro, tetto senza fine!
Tempio del Tempo, chiuso in un sospiro,
col mio sguardo marino tutto in giro,
salgo e mi abituo al punto in cima puro;
come agli dei le offerte mie supreme,
lo scintillìo dissemina sereno
un disprezzo sovrano e duraturo.
Come il frutto che piacere diventa,
come muta in delizia la sua assenza
entro una bocca ove la forma muore,
aspiro il mio futuro fumo e canta
adesso il cielo all’anima consunta
il mutare delle rive in rumore.
Bel cielo, cielo vero, adesso cambio!
Poi tanto orgoglio e tanto oziare strambo
ma pieno di potere, al luccicare
di questo spazio cedo e vola via
sulle case dei morti l’ombra mia
che mi ammansisce al fragile suo andare.
L’anima esposta ai fuochi del solstizio,
ti sostengo ammirevole giustizia
della luce crudele e sempre armata!
Pura ti rendo al tuo posto d’inizio:
guardati!… Rendere la luce è indizio
di una mesta metà d’ombra celata.
Oh per me solo, in me stesso soltanto,
dove sorge il poema, a un cuore accanto,
aspetto qui tra vuoto e evento puro
l’eco della grandezza mia interna,
amara, oscura, sonora cisterna,
suono cavo nell’anima il futuro!
Sai tu, falso recluso dal fogliame,
golfo nutrito dalle sbarre grame,
sugli occhi chiusi, segreti splendenti,
qual corpo alla sua pigra fine attira,
qual fronte a questa terra d’ossa tira?
Qui pensa una scintilla ai miei assenti.
Sacro frammento terrestre, di ardore
immateriale, offerto allo splendore.
Piace qui il luogo arso di fiamme, forme
d’oro, di pietre, alberi cupi e tanto
marmo che trema su tante ombre, intanto
fedele il mare sulle tombe dorme.
Splendida cagna, l’idolatra via!
Se con sorriso da pastore avvio
al pascolo montoni misteriosi,
dal bianco gregge di tranquille tombe
allontana le prudenti colombe,
i sogni vani, gli angeli curiosi!
L’avvenire è pigrizia, qui arrivato.
L’insetto netto gratta entro il seccato;
tutto è bruciato, sfatto, in aria unito
a non so bene qual severa essenza…
Vasta è la vita e tanto ebbra d’assenza,
spirito chiaro, l’amaro è addolcito.
La terra cela bene i morti, al caldo,
e qui il loro mistero va seccando.
Alto il meriggio, senza movimento,
in sé si pensa e a se stesso conviene…
Testa completa e perfetto diadema,
in te sono il segreto cambiamento.
Non hai che me per sedare i timori!
I miei dubbi, il pentirmi, i miei rigori,
difetti del tuo grande diamante…
Ma nelle notti pesanti marmoree,
vago un popolo alle radici arboree
ha preso la tua parte lentamente.
Si sono fusi in un’assenza spessa,
bianca specie presa da argilla rossa.
Il dono della vita ai fiori è giunto!
Dove le arti, le frasi familiari,
e le anime dei morti singolari?
La larva fila dove nasce il pianto.
Strilla acute di fanciulle eccitate,
gli occhi, i denti, le palpebre bagnate,
il seno bello che gioca col fuoco,
sangue brilla su labbra che si arrendono,
gli ultimi doni che dita difendono,
tutto sotterra, rientra nel gioco!
E tu speri, anima grande, in un sogno
senza questi colori di menzogna
che a occhi di carne fanno onda e oro qui?
Canterai quando sarai vaporosa?
Tutto va! La mia presenza è porosa,
la santa impazienza muore così!
Magra immortalità nera e dorata,
consolatrice orribilmente ornata,
che della morte fai seno materno,
bella menzogna, via d’uscita pia!
Chi non conosce e non li scaccia via,
quel cranio vuoto e quel ridere eterno!
Padri profondi, teste inabitate,
che sotto il peso di tante vangate
siete la terra che i passi fa errare;
vero affamato, il verme mai smentito,
non è per voi sotto il legno assopiti,
ha vita propria e non mi lascia andare.
Amore, forse, o un odio di me stesso?
Il suo dente segreto mi sta appresso,
per lui ogni nome sembra conveniente.
Che importa! Vuole, sogna, vede, ha il tatto,
la mia carne gli piace, anche nel letto,
vivo già appartenendo a quel vivente!
Zenone ostile! Zenone Eleata!
Mi trafiggi con questa freccia alata
che vibra, vola, ma non sta volando!
Mi forma il suono e la freccia mi fruga!
Ah il sole!… L’ombra della tartaruga
nell’anima, sta fermo Achille andando!
No, no!… In piedi! Nell’era successiva!
Rompi, corpo, la forma riflessiva!
Bevi, petto, la nascita del vento!
Una frescura dal mare esalata,
mi rende l’anima… O forza salata!
Su, alle onde che balzano viventi!
Gran mare di deliri ben dotato,
mantello di pantera perforato
da mille e mille idoli solari,
idra assoluta ebbra di carne blu,
la coda mordi luccicante tu
in un tumulto al tuo silenzio pari,
s’alza il vento!… Tentiamola la vita!
Apre e chiude il mio libro aria infinita,
l’onda tra rocce in polvere si scheggia!
Volate via, pagine abbagliate!
Onde, irrompete e d’acque rallegrate
il tetto calmo ove il fiocco beccheggia.