Gli unguenti nel mondo romano
Sin dall’antichità l’olio fu un prezioso elemento per la fabbrica dei profumi, che non servivano solo all’uomo per distinguersi dagli altri esseri viventi, ma la loro produzione divenne una vera arte che si inseriva nelle pratiche sociali e culturali.
I Romani però, ancora più dei Greci, consideravano l’impiego di profumi e sostanze odorose un’inutile spreco di denaro.
Plinio il Vecchio riferisce una serie di aneddoti sugli effetti negativi dell’uso dei profumi e ci racconta del triumviro Lucio Plozio che, ricercato, si nascose nella sua villa di Salerno, ma fu scovato grazie alla scia di un profumo così intenso da fuoriuscire dalla stanza dove si era nascosto e, catturato, fu giustiziato.
Sempre Plino ci racconta che l’olio più adatto per unguenti e profumi era l’onfacium, ottenuto dalla spremitura di olive acerbe, raccolte tra la fine del mese di agosto e gli inizi di settembre, dalla resa bassissima, che presentava una purezza quasi assoluta e soprattutto che non subiva alterazioni come il normale olio di oliva.
Comunque i suoi giudizi sul prodotto erano negativi, tanto che una volta parlando dei profumi dice:
Il loro pregio più alto consiste in questo; quando passa una donna, il profumo che si lascia dietro attrae e distrae anche chi è in tutte altre faccende affaccendato. Il prezzo di un profumo può superare i quattrocento denari la libbra: così tanto costa un piacere che sentono gli altri, perché chi si cosparge di profumo il proprio profumo non lo sente.
Un fregio pittorico della casa dei Vettii a Pompei raffigura la manifattura di profumi e unguenti.
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